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Alla stazione il bigliettaio sorrise alla nostra passione e ci guardò come si guarda chi sta anche quando parte, però ci fece pagare come chi va. Salimmo su un treno che portava in una città d’arte qualunque, scelta tra le città d’arte qualunque purché attraversata da un fiume, e a noi piaceva baciarci sui ponti, checché ne dicesse il dentista. Il capotreno fischiò e si sbracciò, e i portelloni sbatterono. Mentre mi sporgevo dal finestrino pensavo che ogni avventura dovrebbe iniziare con un locomotore che sbuffa ed una nuvola di fumo dentro la quale sparire, ma non accadde nulla del genere, ci avviammo senza particolari concessioni alla scenografia. Lei leggeva un libro che raccontava di un tizio che amava una di San Francisco, ed era una storia piena di orgasmi e di cose tossiche; io osservavo la pianura industriale che scorreva oltre il vetro, ed era una storia piena solo di cose tossiche. Ogni tanto ci fissavamo per qualche istante senza dire nulla, anche la nostra era una storia piena di orgasmi, cose talvolta tossiche e pianura industriale in quantità.
Il controllore sorrise alla nostra passione e ci guardò come si guarda chi ha obliterato l’amore, ma non i biglietti.

Siamo cose proletarie, camicie poco costose,
non stirate da una servitù.
Povere storie ma luminose.

di Jacques